La facoltà di chiedere la restituzione immediata dell’immobile in comodato, specialmente quando questo è connotato da destinazione a casa familiare, è disciplinata dall’art. 1809, comma 2, c.c.. In esso viene specificata la necessità di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno.
(Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza n. 3553/17; depositata il 10 febbraio)
Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3553/17 depositata il 10 febbraio.
Il caso. La proprietaria di un immobile chiedeva al Tribunale la condanna al rilascio dello stesso, a suo dire illecitamente occupato dall’ex compagna del figlio, e l’ulteriore risarcimento dei danni patiti. L’attore aveva concesso l’immobile, 3 anni prima, «in comodato precario» alla coppia, così da consentir loro di trovare una diversa migliore entro breve termine. Per altro, aveva pattuito che le venisse riservata la disponibilità di una camera dell’appartamento. Ma successivamente la (ormai) ex compagna estrometteva dall’immobile prima il figlio, poi la madre.
Secondo la convenuta, l’immobile era stato concesso come “casa familiare” e «quindi sottoposto ad un termine implicito determinato dall’uso del bene stesso».
Le domande attoree venivano rigettate in primo e confermate con sentenza della Corte d’appello, avverso la quale la proprietaria dell’immobile ricorre in Cassazione.
Il comodato gratuito. Con un primo motivo si lamenta il fatto che il giudice di seconde cure non avrebbe interpretato correttamente l’accordo «intercorso tra le parti in giudizio in via esclusivamente orale». L’effettiva volontà delle parti, sostiene la ricorrente, era quella di concedere il bene in comodato gratuito, al solo figlio, con riserva per sé di parte dell’immobile e con facoltà di risoluzione a richiesta della medesima comodante. La destinazione a casa familiare, a cui accenna la resistente non risulterebbe provata.
In realtà, secondo la Corte di Cassazione, la volontà delle parti è stata interpretata con rispetto della legge. La ricorrente fornisce semplicemente una diversa lettura della vicenda negoziale, senza però fornire alcun elemento probatorio in tal senso.
La facoltà di risoluzione. Con un secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione di legge ed erronea/falsa applicazione degli artt. 1809 e 1810 c.c.. Secondo la ricorrente, anche se si accogliesse l’interpretazione per cui il comodato è a destinazione familiare, l’art. 1810 c.c. consentirebbe comunque di far cessare il vincolo a semplice richiesta del comodante. A tal proposito, infatti, l’articolo recita: «se non è stato convenuto un termine […] il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede».
Le due “forme” di comodato. Secondo la Corte di Cassazione, però, esistono due “forme” di comodato: quello propriamente detto ex artt. 1803 e1809 c.c., e quello cd. precario, regolato dall’art. 1810 c.c., con rubrica “comodato senza determinazione di durata”.
Il primo tipo di comodato è quello «sorto con la consegna della cosa per un tempo determinato o per un uso che consente di stabilire la scadenza contrattuale». E, in questo caso, il comodante ha la facoltà di esigere restituzione immediata solo qualora sopravvenga un bisogno imprevisto e urgente, come previsto al secondo comma dell’art. 1809 c.c.. E va ricondotto a questo tipo contrattuale il comodato di immobile che, in assenza di pattuizioni sul termine del godimento, è destinato al soddisfacimento delle esigenze abitative della famiglia del comodatario.
Per questi motivi la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.