Un amministratore condominiale è stato ritenuto, dalla Corte d’Appello di Brescia, responsabile dei reati di cui agli articoli:
– 646 Codice penale, per essersi appropriato, quale amministratore di un condominio, di somme versate dai condomini per spese di gestione dell’immobile;
-e 640 Codice penale per aver indotto i condomini in errore circa l’entità delle spese di gestione da sostenere ed essersi così fatto versare dagli stessi somme non dovute;
in quanto tale, è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento dei danni subiti dal condominio costituitosi parte civile.La corte territoriale ha constatato che per gli anni di gestione del condominio Beta “2007 – 2009”, dopo una precedente gestione assolutamente lineare, il saldo attivo del conto comune sarebbe dovuto essere pari a Euro 29.544,96 mentre in realtà non vi era alcuna disponibilità di cassa e ha conseguentemente ritenuto integrato il reato di appropriazione indebita in ragione del fatto che l’imputato, al subentro del nuovo amministratore, trattenne per sé le somme di pertinenza condominiale.
Rispetto al secondo capo di imputazione la Corte d’ Appello di Brescia ha riscontrato che i condomini avevano consegnato all’imputato, nella sua veste di amministratore, la complessiva somma di Euro 13.335,84 a fronte di spese inesistenti o ingiustificate o comunque non seguite dalle azioni promesse. Gli “artifici e raggiri” erano, dunque, consistiti nella richiesta di pagamenti falsamente giustificati relativi a prestazioni fasulle che avevano indotto in errore dei condomini.
A fronte di tale complessiva motivazione, l’amministratpre è ricorso innanzi la Corte di Cassazione per chiederne la riforma del provvedimento e per insistere sulla relativa assoluzione. Il giudice di legittimità con Sentenza pubblicata in data 22 maggio 2017, n. 25444, Presidente Diotallevi – Relatore Pazzi , prendendo spunto dalla vicenda trattata, definisce i principi cardini in tema di responsabilità penale dell’amministratore.
Con riferimento al primo capo di imputazione, il delitto di appropriazione indebita, il decidente ha statuito che lo stesso è integrato dalla “interversione del possesso”, la quale si manifesta quando l’autore si comporti uti dominus non restituendo il bene di cui ha avuto la disponibilità senza giustificazione, così da evidenziare in maniera incontrovertibile anche l’elemento soggettivo del reato (a tal proposito, è stata richiamato come precedente la pronuncia n. 25288 del 31/05/2016 – dep. 17/06/2016, Trovato, Rv. 26711401).
Nella fattispecie è stato ritenuta corretta la condanna ricevuta dall’amministratore, atteso che non ha fornito prova di alcune delle circostanze positive contrarie a quelle provate dalla pubblica accusa, onde dimostrare che il fatto in contestazione non è avvenuto.
Con riferimento, invece, al secondo capo di imputazione, il reato della truffa, il giudice di legittimità ha intanto precisato il relativo momento consumativo in quanto stabilito, sulla scorta della vicenda storica tratta, la responsabilità dell’amministratore. In vero il perfezionamento della truffa è legato al verificarsi del danno patrimoniale per la vittima e dell’ingiusto profitto per l’agente (dato che è necessario che il profitto dell’azione truffaldina entri nella sfera giuridica di disponibilità dell’agente, non essendo sufficiente
che esso sia fuoriuscito da quella del soggetto passivo; Cassazione penale n. 14905 del 29/01/2009 – dep. 06/04/2009, Coppola e altro, Rv. 24360801) e si verifica nel momento in cui queste evenienze vengano entrambe a esistenza o, in caso di mancata contestualità, in coincidenza con l’avverarsi dell’ultima componente.
In altri termini, la truffa contrattuale postula “reato istantaneo e di danno”, la cui consumazione coincide con la perdita definitiva del bene in cui si sostanzia il danno del raggirato e il conseguimento dell’ingiusto profitto da parte dell’agente (a tal uopo, è stata richiamata la pronuncia n. 20025 del 13/04/2011 – dep. 20/05/2011, Pg in proc. Monti e altri, Rv. 25035801).
Nel caso di specie l’amministratore ha preteso il pagamento di compensi per prestazioni professionali fasulle, condotta a cui hanno fatto seguito l’addebito al condominio degli importi fatturati descritti nel capo d’imputazione e l’incasso da parte dell’ammnistratore o di parenti dell’imputato dei compensi non dovuti. Il perfezionamento del reato è avvenuto, dunque, nel momento in cui l’amministratore ha conseguito l’indebito esborso e il correlato ingiusto profitto.