Succede in molti condomini italiani, specialmente in quelli che comprendono gruppi di palazzine o grossi edifici composti non solo da abitazioni, ma anche da officine, garage e negozi: un proprietario acquista la sua unità immobiliare e decide di chiudere l’accesso alle rampe, ai cortili interni, ai vialetti o ad altre parti comuni del complesso edilizio. A lavori fatti, però, il proprietario di quell’immobile scopre che l’amministratore del condominio continua ancora a calcolare le quote in base alla sua partecipazione “ideale” alle parti comuni, anche se, in realtà, non ne ha più l’accesso e non ne fa uso.
Così quel condomino vorrebbe contestare il riparto e si domanda: se c’è un accesso chiuso alle parti comuni si pagano le spese condominiali o non sono più dovute? La risposta al quesito deve considerare il particolare regime della comproprietà che esiste in condominio sulle parti comuni dell’edificio.
Indice
1 Parti comuni dell’edificio: quali sono?
2 Uso delle parti comuni: obblighi e limiti
3 Chiusura accesso alle parti comuni: è consentita?
4 Se chiudo l’accesso alle parti comuni devo pagare le spese condominiali?
Parti comuni dell’edificio: quali sono?
L’art. 1117 del Codice civile fornisce un’elencazione analitica delle parti comuni dell’edificio. La lista è molto nutrita, e comprende i muri maestri, i pilastri, i tetti ed i lastrici solari, le scale, i portoni d’ingresso, i portici, i cortili, le facciate, le aree destinate a parcheggio, la portineria (incluso l’alloggio del portiere), la lavanderia, gli stenditoi, gli ascensori e gli impianti (idrici, fognari e di riscaldamento centralizzato).
Tutti questi beni sono considerati di proprietà comune tra tutti i condomini, anche se a godimento periodico (come i parcheggi ad uso turnario), a meno che il titolo di acquisto non disponga diversamente: ad esempio, una corte antistante ad una villetta situata in un complesso condominiale è considerata di proprietà esclusiva se il rogito notarile di compravendita la menziona espressamente e la trasferisce all’acquirente come pertinenza dell’immobile principale.
Uso delle parti comuni: obblighi e limiti
Dalla proprietà condominiale delle parti comuni sorge l’obbligo per tutti i partecipanti di contribuire alle spese in base alle quote di riparto stabilite nelle tabelle millesimali. Questo avviene a prescindere dall’uso concreto che ciascun condomino fa, o non fa, delle cose comuni: ad esempio, chi non usa l’ascensore non può pretendere di essere esonerato dalle spese di manutenzione e funzionamento dell’impianto.
I limiti d’uso di ciascun condomino sono stabiliti dall’art. 1102 del Codice civile, in base al quale ognuno può servirsi della cosa comune «purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto»: l’uso, quindi, deve essere paritetico e solidale. Da questo principio discende, tra l’altro, che è vietata l’occupazione abusiva di parti comuni del condominio.
Chiusura accesso alle parti comuni: è consentita?
Il quesito che stiamo trattando non riguarda l’occupazione abusiva di parti comuni, bensì il caso di un condomino che decide, di propria iniziativa, di isolare la sua proprietà esclusiva chiudendo l’accesso alle aree di proprietà comune. Si tratta di una facoltà legittima, se avviene senza ostacolare o comprimere i diritti degli altri condomini sulle cose comuni (ad esempio, non posso perimetrare con paletti e catene il vialetto condominiale antistante alla mia abitazione se così facendo impedisco il passaggio agli altri).
La normativa urbanistica ed edilizia locale ed anche il regolamento condominiale di natura contrattuale (è quello approvato da tutti gli acquirenti delle unità immobiliari nei rispettivi atti di acquisto) potrebbero prevedere prescrizioni ulteriori, specialmente a tutela dell’estetica della facciata o della sicurezza del fabbricato, fino ad imporre il divieto per determinate trasformazioni o innovazioni.
Se chiudo l’accesso alle parti comuni devo pagare le spese condominiali?
Il proprietario di un immobile situato in un condominio che chiude gli accessi alle parti comuni dell’edificio rimane obbligato al pagamento delle spese condominiali. Lo ha affermato recentemente la Corte di Cassazione [1] decidendo la vicenda di un acquirente di un’officina e di un garage-magazzino che, dopo aver acquistato i locali, li aveva perimetrati con opere fisse, in modo da precludere il transito da e verso le parti comuni dello stabile.
Era indubitabile che così facendo il proprietario non avesse più accesso alle parti comuni, ma la Suprema Corte ha sottolineato che l’obbligo di contribuzione alle spese di conservazione, godimento e fruizione dei servizi permane. Infatti l’art. 1118 del Codice civile dispone che: «il condomino non può sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni, neanche modificando la destinazione d’uso della propria unità immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali» (norme particolari di esonero dalle spese vigono solo nel caso di distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato).
La nuova sentenza della Cassazione ha ribadito che «al fine di accertare se una unità immobiliare faccia parte o meno del complesso condominiale, agli effetti dell’art. 1117 c.c., è necessario stabilire se siano sussistenti i presupposti per l‘operatività della presunzione di proprietà comune con riferimento al momento della nascita del condominio, restando escluso che sia determinante la chiusura del collegamento materiale tra i due immobili eseguita successivamente a tale momento».
L’orientamento della giurisprudenza sul tema è costante [2]: perciò la chiusura dell’accesso alle parti comuni compiuta da un proprietario esclusivo, anche quando è legittima, non esime l’interessato dall’obbligo di contribuzione alle spese condominiali. Il Collegio ha specificato che in questi casi soltanto una delibera dell’assemblea adottata all’unanimità – e non a maggioranza – potrebbe modificare i criteri di ripartizione delle spese, tenendo conto della nuova situazione.
Fonte: laleggepertutti