La detrazione Iva è ammessa sulla casa usata come ufficio

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È detraibile l’Iva pagata dal soggetto passivo sull’acquisto dell’immobile abitativo utilizzato però come bene strumentale per l’esercizio dell’attività, non potendo la mera classificazione catastale del fabbricato precludere il diritto alla detrazione. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 13259 del 28 aprile 2022, respingendo la tesi dell’amministrazione finanziaria che assume la tipologia catastale quale criterio per l’applicazione del divieto di detrazione previsto dall’articolo 19-bis1, lett. i), del dpr 633/72. Il principio statuito dal giudice di vertice dovrebbe riguardare soltanto l’interpretazione di detta disposizione, giacché la sua generalizzazione avrebbe effetti dirompenti. In questa prospettiva, l’ordinanza esprime una condivisibile posizione che va consolidandosi nella giurisprudenza di legittimità e che è auspicabile possa favorire la rimeditazione di una disposizione la cui criticità sistematica si è aggravata con l’evolversi del quadro normativo.

La lettera i) dell’art. 19-bis1 stabilisce che «non è ammessa in detrazione l’imposta relativa all’acquisto di fabbricati, o di porzione di fabbricato, a destinazione abitativa né quella relativa alla locazione o alla manutenzione, recupero o gestione degli stessi, salvo che per le imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la costruzione dei predetti fabbricati o delle predette porzioni. La disposizione non si applica per i soggetti che esercitano attività che danno luogo a operazioni esenti di cui al numero 8) dell’articolo 10 che comportano la riduzione della percentuale di detrazione a norma dell’articolo 19, comma 5, e dell’articolo 19-bis».

In merito all’identificazione dei fabbricati e delle porzioni di fabbricato «a destinazione abitativa», il ministero delle finanze, nella circolare n. 182/1996, ha espresso l’avviso che «la destinazione abitativa sussista nel caso in cui si tratti di unità immobiliari catastalmente classificate o classificabili nelle categorie da A/1 ad A/11, escluse quelle classificate o classificabili in A/10». Questo criterio è stato più volte confermato dall’Agenzia delle entrate, per esempio con le circolari n. 27/2006, n. 18/2013 e n. 22/2013; quest’ultima, nel trattare organicamente la disciplina Iva delle operazioni del settore immobiliare, ribadisce che, ai detti fini, la distinzione tra fabbricati abitativi e fabbricati strumentali «si basa, di regola, su un criterio oggettivo legato alla classificazione catastale degli stessi, a prescindere, quindi, dal loro effettivo utilizzo. In particolare, sono fabbricati abitativi quelli classificati o classificabili nel gruppo catastale A (esclusa la categoria A/10)», mentre sono fabbricati strumentali per natura «le unità immobiliari classificate o classificabili nei gruppi catastali B, C, D, E e nella categoria A10 qualora la destinazione a ufficio o studio privato risulti dal provvedimento amministrativo autorizzatorio».

La stessa Cassazione ha mostrato di recepire questa interpretazione in relazione, però, alle disposizioni previste, per le cessioni di fabbricati strumentali, al punto 8-ter) dell’art. 10, dpr 633/72, escludendone l’applicazione alla cessione di un fabbricato iscritto nella categoria A/3 nel presupposto che «l’unico criterio oggettivo per individuare la strumentalità dell’immobile è rappresentato dalla categoria catastale di appartenenza al momento del trasferimento, restando viceversa irrilevante l’esistenza di un progetto di trasformazione del bene» (sentenza n. 4074/2020).

La recente ordinanza della Corte suprema. Seguendo il consolidato indirizzo interpretativo richiamato sopra, l’Agenzia delle entrate aveva recuperato a carico di un contribuente l’Iva detratta, in violazione delle disposizioni dell’art. 19-bis1, lett. i), sull’acquisto di una quota di proprietà di fabbricato di civile abitazione, categoria catastale A/2, considerando irrilevante la circostanza (non contestata) che l’immobile fosse utilizzato di fatto, dall’acquirente, come ufficio per lo svolgimento della professione legale, quindi come bene strumentale per l’attività.

La pretesa dell’ufficio, confermata dai giudici di merito, è stata però respinta dalla Corte di cassazione con la recente ordinanza n. 13259/2022. Il giudice di legittimità riconosce che la disposizione (erroneamente riportata nell’ordinanza nella versione originaria, anziché in quella vigente all’epoca dei fatti, conforme a quella attuale), in deroga al principio generale di detraibilità enunciato all’art. 19, preclude «la detrazione dell’Iva assolta in relazione all’acquisto, locazione, manutenzione, recupero o gestione di immobili abitativi che risultano tali secondo le risultanze catastali e a prescindere dall’utilizzo effettivo degli stessi, fatta eccezione per le imprese specificamente indicate dalla norma». Nondimeno, osserva, le disposizioni in materia di detrazione e di limitazione della detrazione, unitariamente considerate, comportano che anche l’impresa non esercente l’attività di costruzione «può comunque portare in detrazione l’Iva relativa all’acquisto di un fabbricato a destinazione abitativa purché provi, sulla scorta di elementi oggettivi, che l’operazione in concreto sia inerente all’esercizio effettivo dell’attività di impresa e sia destinata, almeno in prospettiva, a procurargli un lucro, e tale onere probatorio risulta, peraltro, rafforzato laddove l’operazione, come nel caso di specie, consista nell’acquisto di un bene per il quale vige espressamente il regime dell’esclusione della detrazione in quanto fabbricato ad uso abitativo… Infatti, in tal caso, oltre che porsi un problema di inerenza dell’acquisto per l’attività di impresa, assume rilevanza il profilo della effettiva riconduzione del bene (fabbricato ad uso abitativo) a una categoria per la quale non vige l’esclusione della detrazione».

L’ordinanza ricorda poi che, secondo la Corte di giustizia Ue, il sistema dell’Iva è volto a sgravare l’imprenditore dal tributo dovuto o assolto sugli acquisti destinati alla sua attività economica, in modo da garantire la neutralità dell’imposizione, «sicché la questione va risolta…nella necessaria verifica, in concreto, dell’inerenza del bene immobile acquistato con l’attività di impresa, anche tenendo conto di una valutazione meramente prospettica», in armonia con il consolidato principio ribadito dalla Corte suprema nell’ordinanza n. 5559/2019, secondo cui «in tema di Iva, ai fini della detrazione nelle operazioni relative a fabbricati a destinazione abitativa, la natura strumentale del bene acquistato deve essere valutata non solo in astratto, con riferimento all’oggetto dell’attività d’impresa, bensì, in concreto, accertando che lo stesso costituisce, anche in funzione programmatica, lo strumento per l’esercizio della suddetta attività».

Nel caso in esame, quindi, atteso che il fabbricato acquistato dal contribuente, pur avendo destinazione abitativa, è utilizzato come ufficio per lo svolgimento della professione legale, «deve riconoscersi la detraibilità dell’Iva essendo indubitabile la natura strumentale dell’immobile…prescindendo dalla categoria catastale attribuitagli».

Occorre osservare che nel senso del rigetto del mero riferimento alla categoria catastale, ai fini dell’applicazione del divieto di detrazione previsto dall’art. 19-bis1, lett. i), si era già espressa la Corte suprema a sezioni unite con sentenza n. 11533/2018, in relazione a un accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate aveva negato a un’impresa la detrazione dell’Iva sui lavori di ristrutturazione di un fabbricato di civile abitazione da trasformare in fabbricato strumentale da destinare all’esercizio dell’attività alberghiera. Le sezioni unite hanno infatti statuito, in conformità alla giurisprudenza unionale e domestica, che «ai fini della detrazione d’imposta la strumentalità del bene deve essere verificata in concreto. E cioè tenendo conto della sua effettiva destinazione, in rapporto all’attività di impresa, non potendosi infatti tollerare in via di principio limitazioni al diritto di detrazione. E quindi, in particolare, dovendosi accertare la strumentalità dell’immobile prescindendo dalla categoria catastale attribuita dall’amministrazione».

La portata dell’interpretazione. Come già accennato, il principio affermato dalla cassazione in ordine alla verifica concreta della strumentalità, indipendentemente dalla categoria catastale, ai fini della (dis)applicazione del divieto di detrazione di cui all’art. 19-bis1, dpr 633/72, non sembra estensibile alle altre disposizioni in materia di Iva che diversificano il trattamento dell’operazione in ragione della distinzione tra fabbricati abitativi e fabbricati strumentali per natura, in primis nell’ambito del regime di esenzione previsto ai punti 8-bis) e 8-ter) dell’art. 10, dpr 633/72. L’esigenza di semplicità nell’applicazione dell’imposta e la certezza del diritto, infatti, risulterebbero seriamente compromesse qualora occorresse verificare, caso per caso, l’effettiva utilizzazione del fabbricato per accertarne la natura ai fini dell’esenzione o dell’imponibilità della cessione o locazione, dell’aliquota applicabile, e così via. È quindi indispensabile, a detti fini, disporre di un criterio semplice e di facile accertamento, qual è appunto la categoria catastale del fabbricato, che eviti complesse e problematiche indagini fattuali che renderebbero difficoltosa l’applicazione dell’imposta. In questa ottica, pertanto, si ritiene che il soggetto passivo che abbia acquistato un fabbricato di categoria abitativa da utilizzare come bene strumentale per l’esercizio dell’attività, fruendo della detrazione dell’Iva in base a principi affermati dalla cassazione, allorché dovesse poi cedere l’immobile (per il quale non abbia adeguato la categoria catastale), effettuerebbe un’operazione esente ai sensi del citato punto 8-bis) e potrebbe, quindi, essere tenuto a rettificare la detrazione ai sensi dell’art. 19-bis2, dpr 633/72.

Fonte: italiaoggi

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