La convivente non è un’ospite del suo compagno ma un detentore qualificato della casa dove vivono. Condizione questa che la legittima a rientrare quando, come accaduto nel caso specifico, viene messa alla porta, dai parenti del suo convivente ricoverato in ospedale.
E’ questa in sintesi la conclusione cui perviene la Cassazione, con la sentenza numero 7 depositata il 2 gennaio 2014 tesa alla tutela del diritto della convivente, “parte debole”. Il caso: sulla scorta del fatto che un immobile veniva acquisito in comodato da due fratelli la convivente di uno di questi doveva essere consapevole di usufruire di un alloggio “prestato” al suo convivente da un terzo.
La donna allontanata dalla casa ( con tanto di cambio della serratura approfittando dell’assenza del compagno ricoverato in Ospedale per grave incidente stradale ) dai fratelli del compagno-convivente l’aveva spuntata in prima istanza ma nel ricorso alla Corte di appello , che pure accertava la convivenza more uxorio, la donna soccombeva perché ritenuta priva di un diritto giuridico tale da poter vantare un reale titolo di possesso .
La Cassazione chiarisce a che a pieno titolo la signora poteva rientrare nell’appartamento della discordia; avendo Ella convissuto per un lasso di tempo non trascurabile con il comodatario in fatto è divenuta co-detentrice della casa destinata all’abitazione. La permanenza nell’alloggio rientrava (citazione) «nell’esercizio delle facoltà inerenti al comodato e dunque alla detenzione trasmessa al convivente con il comodato».
Il comportamento della Cassazione và ascritto nell’ormai consolidato orientamento che propende verso la tutela anche della famiglia di fatto, orientamento secondo il quale : (cit.) «la convivenza “more uxorio”, quale formazione sociale che dà vita ad un autentico consorzio familiare, determina, sulla casa di abitazione dove si svolge e si attua un programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare». Partendo da questo presupposto, l’estromissione violenta o clandestina dall’unità abitativa, compiuta dal convivente proprietario in danno del compagno non proprietario, (cit.) : «legittima quest’ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l’azione di spoglio, un diritto che – non viene , ovviamente meno quando a “cacciare” di casa il convivente non proprietario è un terzo, come avvenuto nel caso specifico.”